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Essere competenti, essere digital

Essere Competenti, Essere Digital

Vi siete mai fermati a pensare a quanto il tempo stia accelerando? 

Dagli anni ‘90 ad oggi abbiamo assistito a rapidi cambiamenti, trasformazioni sociali ed economiche, e siamo stati esposti ad un elevato numero di eventi importanti che hanno influenzato ogni aspetto della nostra vita, incluso quello professionale. Un cambiamento tanto profondo da prendere il nome di “Quarta Rivoluzione Industriale”. 

Siamo nell’era del digitale, delle nuove tecnologie, dei network di individui, ma anche dei mercati rapidi, globali, competitivi. Basti pensare alla Silicon Valley, punto nevralgico dell’innovazione mondiale, forse l’esempio più calzante di una modalità di business in cambiamento. Come cambia la società, cambiano le organizzazioni che passano da una struttura gerarchizzata e piramidale a sistemi dai confini non ben definiti, governati dall’interdipendenza di persone che sono dentro e fuori l’organizzazione e che per presentificare ciò che non c’è, persino difficile da immaginare, hanno bisogno di interagire, di fare insieme, di stare insieme. Organizzazioni che Adner (2017) definisce “ecosistemi innovativi, aperti, non lineari, caratterizzati e animati dalla pluralità di motivazioni di una rete di attori, dall’elevata capacità di rispondere ai feedback e dalla continua trasformazione strutturale sia endogena che esogena” naturalmente favorevoli all’apprendimento collaborativo, dove il sapere si muove, si sposta e si evolve grazie alla cooperazione di soggetti, imprese, idee.

Per apprendere e collaborare nel contesto socioeconomico attuale, in cui l’incertezza è caratterizzata dai contorni irregolari della fragilità e quelli spezzati dello smarrimento, sembra essenziale riflettere sulla possibilità di darsi nuove pratiche di costruzione di senso, narrazione di storie comuni e sostegno di biografie personali e professionali. Recuperare “la ghianda” – come la chiama Hillmann – della competenza a vivere, che ciascuno porta in sé e fa crescere nella sua vita professionale, aiuta a costruire un luogo di dialogo tra persona, gruppi e organizzazione, come esercizio di collettività, apprendimento dall’esperienza, comunità di crescita, coltivazione di cambiamento. Questo è utile a non alimentare l’impressione che potrebbe nascere di destrutturazione del tempo, sradicamento e frammentazione dello spazio e collisione costante tra ruoli, percezione di sé ed esperienza. 

È l’era del sapere, la società della conoscenza che, come sostiene Jarvis (2007), richiede costanza nel confronto con la complessità del fare, del comprendere e del comunicare. Si tratta di ripensare al nostro organizzare in modo tale che tragga spunto e crei tracce attraverso l’uso delle nuove tecnologie nel loro “significato di vere e proprie tecnologie cognitive capaci di promuovere nuove forme di organizzazione del pensiero, nuovi modi di apprendimento e nuove forme di comunicazione e collaborazione interpersonale” (Olimpo, 2010). 

Navigare in rete, scaricare contenuti di proprio interesse, conversare in modo veloce, sintetico e istantaneo, giocare in realtà complesse “aumentate” e “alterate”, sono alcune delle abilità di cui i nativi digitali di Mark Prensky, i “madrelingua digitali”, sono portatori. Ma questo bagaglio non li rende appieno cittadini digitali. La sfida delle organizzazioni sta nella scelta di pratiche di valorizzazione delle persone e delle loro competenze professionali coerenti con i modelli della società digitale, rendendole consapevoli di un nuovo linguaggio che sta aprendo nuove mappe.

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