É possibile trovare nuove strade che siano occasioni nell’incertezza?
La nostra vita in questo momento è totalmente stravolta a causa di un agente esterno inatteso. Siamo in una fase delicata, che ha dilatato il tempo del pensiero e ridotto quello dell’azione. La crisi ha generato tanta paura ed ha ingigantito la sfera in cui l’individuo si sente impotente di fronte ad eventi della vita incontrollabili.
Dopo un primo momento di ansia generalizzata e di blocco in pensiero e azioni, ora è il momento in cui cominciare a pensare all’area di influenza. Quell’area in cui l’uomo può agire, su cui ha controllo e in cui può scegliere diverse modalità per intervenire. Questo è il momento di rendersi conto del cambiamento, dello stravolgimento della quotidianità: nel lavoro e nella vita è l’occasione per dar sfogo alla creatività, alle passioni e alla pianificazione degli obiettivi futuri.
Da una crisi possono nascere risultati positivi, rinnovamenti, cambiamenti di abitudini e di azioni consolidate. Bisogna saperla gestire, traendo frutti dal “sostare nell’incertezza”. Lanzara (1993) parlava di “Capacità Negativa” come di un agire che nasce dal vuoto, dalla perdita di senso e di ordine, ma che è orientato all’attivazione di contesti e alla generazione di mondi possibili. La “capacità negativa” sostiene l’apprendere dall’esperienza, il riflettere su di essa dandole un senso, rielaborandola personalmente, integrando i molteplici aspetti cognitivi ed emotivi in un ciclo continuo di azione, ricerca e riflessione. Stiamo parlando del sensemaking di Weick (1995): il senso crea nuovi processi di organizzazione (organizing). In altre parole, dare senso ai flussi di esperienza racconta l’organizzare.
Come le organizzazioni sono riuscite ad esercitare una parte della propria area di influenza? In alcuni casi si sono attivate politiche di flessibilità, lavoro at-home e smart working. In altri l’impossibilità di lavorare durante l’emergenza sanitaria ha costretto allo stop nella difficoltà e nella sofferenza di un cambiamento così imponente e imprevisto. Abbiamo assistito anche a riorganizzazioni temporanee dei core business di alcune imprese: dalla produzione dei liquori a quella degli igienizzanti, dalla produzione di pannolini a quella delle mascherine, dal trasformare una maschera da snorkeling a maschera respiratoria per la terapia intensiva.
Gli attori organizzativi, ad oggi, sono costretti a lavorare con l’immaginazione e su dati non certi, chiedendosi “cosa ci attenderà dopo” e “quando finirà”, senza poter formulare ipotesi chiare. L’era del COVID-19 rappresenta anche un’emergenza imprenditoriale che ci costringe a fronteggiare l’impotenza.
Al tema del cambiamento del proprio core business si uniscono quello delle nuove (e inevitabili) modalità di lavoro da immaginare e quello dei ruoli e delle attività che alcune professioni dovranno ripensare.
Molte organizzazioni erano “preparate” al cambiamento, ma non pronte, non predisposte ad azioni e a soluzioni innovative attuabili tempestivamente.
Si tratta allora di strutturare un’organizzazione ancora più flessibile, che sia resiliente, forse anche antifragile.
Con resilienza si intende la capacità di resistere ad uno shock, di piegarsi ma non spezzarsi di fronte alle avversità di adattarsi in contesti di vita altamente stressanti: in ambito organizzativo, secondo Weick e Sutcliffe (2001), parliamo di organizzazione resiliente, che assorbe gli urti e continua a lavorare, gestendo la crisi e imparando da essa.
Ma in questo contesto ci basta soltanto essere un’organizzazione resiliente?
Ne parleremo nel prossimo articolo… Stay tuned!
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