Negli scorsi articoli vi abbiamo dato degli spunti per attraversare l’incertezza del momento e ragionare sul concetto di resilienza. Abbiamo definito cosa si intende per essere resilienti e proposto come fare ad esserlo in quanto singolo, team, organizzazione. Oggi vorremmo riflettere su quali siano gli elementi per essere organizzazione con resilienza verso l’antifragilità, accompagnando le organizzazioni alla ripartenza.
Si tratta di raggiungere un equilibrio a partire dalla propria unicità per trovare nuova collocazione nel mondo. In questa prospettiva, nasce il bisogno di orientarsi nel caos che lascia smarriti per la sua stessa natura incontrollabile. Lo possiamo fare a partire da buone pratiche che ci permettono di adattarci e di resistere nel vento forte dell’imprevedibilità. Ma non solo.
È a questo punto che è utile provare ad aggiungere un’altra caratteristica tipica di ciò che appartiene al mondo ed è vivo: l’antifragilità. Questo termine definisce l’opposto del fragile, non la sua negazione, il suo superamento. L’antifragile “va al di là della resilienza e dell’incertezza” perché ama la volatilità di cui è denso. È tutto ciò che di noi accoglie il caos e prospera in esso. Quella parte che percepisce e accetta il senso di mancanza derivante dall’impossibilità di gestire tutte le dinamiche e le variabili.
Sviluppare la nostra antifragilità non è combattere la nostra fragilità, bensì far crescere la capacità di riconoscerla, di tollerarla, di viverla appieno. Significa stare nel caos secondo un’asimmetria favorevole che equivalga a “avere più da guadagnare che da perdere”, trasformare “la paura in prudenza, il dolore in informazione, gli errori in nuovi inizi e il desiderio in iniziativa”.
Riscoprire il limite tenendo a mente che “spesso l’antifragilità dell’insieme dipende dalla fragilità delle singole parti” (Nassim Nicholas Taleb, “Antifragile”).
Le organizzazioni resilienti sanno apprendere dai cambiamenti che coinvolgono l’ambiente esterno, adattandosi attraverso un percorso di graduale miglioramento.
Questo può avvenire, secondo Kerr, grazie a:
Le organizzazioni antifragili non aspettano che i mutamenti si manifestino, si aspettano che essi siano la regola. Applicano un atteggiamento robusto nei confronti del rischio grave, abbattono le conseguenze negative proteggendosi dai danni estremi e vanno sul sicuro in alcuni ambiti. In altri invece, amano il rischio e l’ignoto e li provano al massimo. In questi ambiti sono sistemi che vivono di sperimentazione e applicano un metodo per tentativi, in questo modo gli errori sono numerosi, ma piccoli e poco dannosi. Vivono i processi e i prodotti come ricerca di novità sempre.
Ripartire rende motivati, caparbi, decisori attivi, ma bisogna fare scelte coerenti con il proprio business e con il contesto circostante.
La ripartenza deve essere pensata, progettata, discussa.
Come descrive Weick nel suo libro “Organizzare” (1993):
“Definire i termini ed esporre la teoria è come scrivere un menù. È abbastanza facile dire che cosa si pensa di aver mangiato, alquanto più difficile è decidere cosa ordinare, e ancora più difficile è scrivere il menù prima che gli ingredienti vengano consegnati, soprattutto se ci si serve di un bottegaio stravagante che raramente consegna quello che è stato ordinato. Molte volte nella ricerca non si può sapere in anticipo che cosa si scoprirà, o anche che cosa sarà interessante una volta che siano disponibili maggiori informazioni.” (Crovitz, 1970).
Le ricette sono le best practices co-costruite nel processo di teaming. Se riconosciute e condivise, devono essere formalizzate per divenire un riferimento per tutti i membri del team e per essere esportate nell’organizzazione attraverso l’attività strutturata di diffusione (Casagrande, 2020).
Nel mondo del caos e dell’incertezza non esistono ricette preconfezionate, ma ognuno può formularne una per la propria organizzazione in base agli ingredienti di cui dispone. I professionisti della consulenza sostengono le organizzazioni nel processo di scoperta della propria ricetta, degli ingredienti e delle dosi giuste.
Osservare la realtà non significa fermarsi ai fatti. I fatti non parlano da soli (Gould 1977) e non sono un dato certo più di quanto un mucchio di pietre o una pila di progetti siano una casa.
Le organizzazioni sono abbastanza difficili da comprendere: basti pensare che noi stessi ci poniamo dei limiti per studiarle, escludendo certe idee e certi metodi (McCall, 1977). Ci sono alcune “certezze ipotetiche” nell’indagine sull’organizzazione: i lavoratori vivono, la struttura è la salvezza, ci sono grandi uomini, ci sono avvenimenti importanti, la soddisfazione è sufficiente, il potere e il denaro sono tutto. Tutti questi modi di vedere l’organizzazione sono in parte veri, in parte falsi, in parte incompleti e in parte irrilevanti.
Per comprendere fenomeni così diversi abbiamo bisogno di una serie di idee di una certa generalità, che ci consentano di pensare in termini di relazioni, enunciate a un livello di astrazione sufficientemente alto e che contengano immagini evocative. Serve allora lavorare sempre più in termini di sviluppo del capitale umano, che permetta di valorizzare il Noi.
Essere organizzazione con resilienza verso l’antifragilità significa scoprire la propria unicità. Ha a che fare con l’esplorare le possibilità a partire dalle aree robuste e dalle aree fragili esercitando il non giudizio.
Ogni organizzazione a seconda di contesto, business e persone, può pensarsi in modi diversi e affrontare le crisi e il cambiamento in modi del tutto particolari. Ci sono però alcune caratteristiche che possiamo implementare per poter affrontare meglio l’incertezza, non solo adattandoci al cambiamento, ma anche potenziandoci grazie ad esso.
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